Il Liquore Strega.
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Nel 1860, evocando un’antica leggenda che narra la città di Benevento quale ritrovo di tutte le streghe del mondo, nasce il Liquore Strega.
Prodotto assolutamente naturale ottenuto dalla distillazione di circa 70 erbe e spezie provenienti da ogni parte del mondo.
Dal gusto fine e vellutato, il Liquore Strega è amato per la sua versatilità che lo rende ideale in ogni momento della giornata. Può essere apprezzato liscio o ghiacciato, sulla frutta o unito a dessert, gelati o cioccolata calda e costituisce anche la base di molti famosi e raffinati cocktails.
Come si gusta
Il Liquore Strega è un liquore estremamente versatile che può essere bevuto liscio o ghiacciato, garantendo a tutti coloro che chiedono qualcosa di più un sicuro appagamento.
Sia il gusto che il caldo colore solare, diventano compagni inseparabili in ogni momento della giornata. Il suo aroma inconfondibile può essere gustato anche in aggiunta al gelato, alla macedonia e quale ingrediente nella preparazione di dolci.
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La Leggenda
La nascita del Liquore Strega ha inizio nel 1860 evocando l’antica leggenda che vuole la città di Benevento antica sede di riti stregoneschi. Si raccontava, infatti, che le streghe, provenienti da tutto il mondo, si riunissero di notte intorno ad un noce magico, e che avessero ideato una pozione magica che univa per sempre le coppie che la bevevano.
La leggenda delle Streghe di Benevento
Se è vero che per rintracciare le origini della leggenda delle Streghe bisogna risalire all’antichità sannitica ed a quella romana, quando, nel IV secolo avanti Cristo gli antichi coloni Lidi della Magna Grecia trapiantarono nel Sannio il culto orgiastico di Cibele e quando poi Ovidio cantò le orrende strigi bramose di sangue infantile, e pur vero che la saga – nota già nel XIII secolo – si diffuse rapidamente in Italia ed in Europa nel 1600, allorchè in Benevento, vero luogo di origine della tradizione, fervevano su di essa dotte dispute.
Se altre città, infatti, trassero dalle Streghe una fama spesso triste, Benevento più che di malefici e di relativi mostruosi processi, vanta il primato di una leggenda suggestiva che, lì nata, ha ispirato nei secoli poeti ed artisti.
E nacque quando la credenza dell’esistenza delle Streghe si fuse con gli echi dei misteriosi riti orgiastici dei Longobardi che a Benevento avevano fatto la capitale del loro vasto ducato meridionale. In quel lontano secolo VII, nostalgicamente fedeli alle tradizioni nazionali, nella nuova terra felice che li aveva accolti e che poi doveva assorbirli con la loro conversione al cattolicesimo e con l’adesione alla superstite civiltà romana, essi praticarono il culto di Wothan, il padre degli Dei.
Si riunivano così, fuori delle mura della città, intorno ad un albero sacro cui sospendevano una pelle di caprone e, tra una corsa sfrenata e l’altra, la colpivano con le frecce e ne mangiavano un pezzetto. I beneventani guardavano atterriti e pavidi e ai loro occhi di cattolici il rito parve demoniaco, mentre le descrizioni che ne facevano lo trasformavano sempre più e lo portavano lentamente nel campo del meraviglioso.
Così anche quando l’usanza di queste cerimonie finì per la conversione del Duca Romualdo II e della sua gente, che, temendo di non poter resistere all’imperatore bizantino Costante II, promise al vescovo San Barbato abiura delle pratiche idolatre in cambio della salvezza che miracolosamente si ebbe, anche quando il noce demoniaco, perciò, fu abbattuto, le voci di fatti misteriosi continuarono a circolare. Ed allora la leggenda era già formata, che ai guerrieri si erano sostituite donne malefiche danzanti freneticamente intorno all’albero, agli urli di guerra era succeduto il frastuono scomposto dell’orgia, cui partecipava addirittura il diavolo in sembianze di caprone, e invece del frammento di pelle inghiottito c’era addirittura il banchetto.
E quando i longobardi, amalgamatisi col popolo vinto, accrebbero lo splendore di Benevento, favorendo soprattutto le lettere e le arti, e quando ancora, dopo alterne vicende, la città, divenuta “isola pontificia” nel Regno di Napoli, si adeguò alle successive civiltà, da quella fervida e promettente del basso Medioevo a quella luminosa del Rinascimento, la leggenda continuò a vivere sempre più ricca di motivi e sempre più varia di aspetti, finchè nell’età barocca si diffuse con la forma rimasta poi tipica, quella che descrive la tregenda.
Nella vasta spianata del noce magico si riuniscono di notte le duemila e più streghe, guidatavi ognuna dal demonio custode – Martinello o Martinetto – che è nello stesso tempo amante e servo e che, prima della cavalcata, unge la sua donna con un unguento magico, e lì, alla luce delle fiaccole, dopo aver venerato il capo dei diavoli che appare sotto le spoglie del caprone e che premia le Streghe migliori e che punisce con staffile quelle infingarde, comincia l’orgia. E se è intervenuta qualche neofita che ha abiurato alla vera Fede, il Re delle Tenebre, dopo averle fatto giurare sul sangue spremuto dalla mammella sinistra di essere, come tutte le Streghe, almeno una volta al mese adultera e omicida e di seminare senza soste melefici e odi, le assegna un Martinello e le promette vita lunga e godimenti di ogni sorta.
Ora, se questa scena terribile, che si dissolve all’invocazione di Gesù e della Vergine o agli squilli mattutini delle campane e al canto del gallo che annuncia l’alba, ha trovato tra i pittori solo in Benevento un ignoto e poco esperto interprete seicentesco, il quale, però, nella sua ingenuità ha saputo darci non poco della suggestione della leggenda, a poeti, scrittori e musicisti di ben diversa statura ha dettato pagine notevolissime. Dal problematico autore de Il fiore, il trecentesco Ser Durante, al festevole Redi de Il gobbo di Peretola, da S. Bernardino da Siena che pieno di zelo invoca lo sterminio delle malliarde nelle sue infervorate prediche, ad Agnolo Fiorenzuola, più volte la leggenda beneventana è entrata nella vera letteratura, così come nella musica vi penetrava con Il noce di Benevento di Franz Xaver Sussmeyer, allievo di Mozart e Salieri, per ispirare poi una delle più singolari composizioni di Paganini, intitolata appunto Le Streghe.
Ma in Benevento, oltre all’interessante documento pittorico ed alle dotte dispute che difficilmente superarono i confini della città, doveva sorgere qualcosa che ricordasse in tutto il mondo la leggenda con la stessa intensità e forse con maggiore continuità di tante opere geniali. Quel qualcosa – chiunque vede che non è esagerazione campanilistica – era il sublime liquore che Giuseppe Alberti, il suo creatore, da più di un secolo, grazie alle qualità incantatrici per il gusto che lo distinguono, non poteva che chiamare Strega.
Un prodotto assolutamente naturale
Il Liquore Strega, è tra i più famosi liquori italiani, unico e inconfondibile per il suo sapore, grazie all’esclusivo uso di ingredienti naturali.
La sua lavorazione, inizia con la molitura di circa 70 erbe e spezie, che vengono selezionate da tutto il mondo, e caratterizzate ciascuna da particolari proprietà organolettiche. Tra esse possiamo citare: la cannella di Ceylon, l’Iride Fiorentino, il ginepro dell’Appennino italiano, la menta del Sannio, che cresce spontaneamente lungo i fiumi della regione.
Il suo caratteristico colore giallo deriva dall'aggiunta del prezioso zafferano al distillato di erbe aromatiche.
Il liquore Strega,viene stagionato per un lungo periodo in tini di rovere per ottenere una perfetta sintesi di tanti differenti aromi, ricavando così un distillato dalla gradazione di 40%vol. E’ solo dopo il completamento di questa stagionatura che il liquore viene imbottigliato e distribuito in tutto il mondo.